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In queste settimane ho avuto il piacere – e la responsabilità – di progettare e condurre un corso di formazione sulla comunicazione strategica destinato al team del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. Si tratta di un percorso pensato specificamente per enti pubblici che operano in ambito ambientale e territoriale, con l’obiettivo di rafforzare la coerenza, la consapevolezza e l’efficacia della comunicazione istituzionale a tutti i livelli.
Per un Parco, comunicare non è un’azione accessoria o funzionale. È parte integrante della sua missione. Significa raccontare un territorio in modo responsabile, coinvolgere comunità, promuovere comportamenti sostenibili, costruire fiducia. È una buona pratica che, se ben orientata, contribuisce a proteggere non solo l’immagine dell’ente, ma anche la visione di mondo che quel Parco rappresenta.
Il corso, strutturato in tre giornate in aula, è nato da un confronto approfondito con l’Ente, per comprenderne le esigenze, le specificità e le sfide quotidiane. La progettazione non è stata calata dall’alto, ma costruita insieme, con un approccio che ha privilegiato l’ascolto, l’analisi e la coerenza con il contesto. Ogni modulo ha combinato cornici teoriche, strumenti operativi, esempi reali e momenti di confronto collettivo; non tanto per “trasferire competenze”, quanto per stimolare nuove domande e favorire un cambio di sguardo.
Abbiamo lavorato su ambiti diversi – dalle relazioni con i media alla comunicazione interna, dai contenuti digitali allo storytelling del territorio – ma sempre con un’impostazione sistemica, che tenesse insieme strumenti e visione. In un Parco, ogni parola scelta per un post social, ogni immagine in un pieghevole, ogni frase scritta in un’email istituzionale racconta una posizione, un’etica, un’idea di futuro. E ha un impatto, anche minimo, sul modo in cui il territorio viene percepito, vissuto, rispettato.
Uno dei passaggi più interessanti è stato esplorare insieme il potenziale dei piccoli gesti comunicativi nel quotidiano. Ad esempio, riflettere su come rendere più “gentile” ed efficace la segnaletica ecologica attraverso meccanismi di nudge; o rivedere il tono delle comunicazioni rivolte ai visitatori occasionali, per trasformare un’informazione tecnica in un invito alla responsabilità condivisa. Piccoli interventi, certo, ma rivelatori di quanto la comunicazione possa essere un attivatore di cultura, se orientata con consapevolezza.
Il valore aggiunto del percorso è stato anche nella composizione del gruppo: un pubblico trasversale, che includeva non solo chi si occupa direttamente di comunicazione, ma anche figure amministrative, tecniche, educative. Questo ha permesso di rompere la consueta dicotomia tra “chi comunica” e “chi fa”, e di costruire una visione comune: comunicare, in un ente pubblico, non è una delega, ma una responsabilità condivisa.
Alla base del lavoro c’era una scelta valoriale precisa: promuovere una comunicazione orientata al turismo etico, alla responsabilità ambientale, alla coerenza tra messaggio e comportamento. Perché oggi non basta essere tecnicamente corretti o stilisticamente efficaci. Occorre essere credibili, congruenti, capaci di tenere insieme informazione, empatia e visione.
Per me, è stato un grande privilegio accompagnare questo percorso. Lavorare con chi si prende cura dei luoghi – e delle storie che li abitano – significa anche contribuire a dare forma alla loro voce. Una voce che non chiede solo visibilità, ma qualità. Che non cerca solo pubblico, ma partecipazione. Che non si limita a raccontare, ma costruisce significato.
“Amo i cani e la montagna, odio la cannella, ma per il resto sono piuttosto normale.”