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Le sue continue e attente analisi sull’uso dei mass media in tutte le democrazie occidentali e le dure posizioni tenute contro la guerra in Vietnam lo hanno avvicinato molto alla figura dell’intellettuale anarchico con ampio consenso nella sinistra radicale mondiale. Al di là tuttavia di queste “strumentalizzazioni” che possono essere più o meno veritiere le teoria di Chomsky sono ritenute significative soprattutto nel campo della comunicazione politica e da diversi anni alimentano quell’immaginario collettivo nel quale ritroviamo anche la narrativa di Orwell e Philip K. Dick. Immaginario collettivo dal quale il cinema prende da sempre ispirazione.
In Hunger Games, saga letteraria scritta da Suzanne Collins recentemente riproposta anche in versione cinematografica, si ritrovano non solo molti aspetti tipici delle società distopiche (ambientazione post-apocalittica, crisi economica, regime totalitario, società divisa in caste) ma anche alcuni dei punti chiave di gran parte del pensiero di Chomsky.
La storia è ambienta in un nord America post-nucleare, più precisamente nella terra di Panem che è divisa in 13 distretti e governata da un regime che ha sede a Capitol City. In seguito ad un tentativo di rivolta avvenuto circa 70 anni prima dei fatti che ci vengono narrati, ogni anno da ciascun distretto vengono scelti un ragazzo e una ragazza (chiamati i “tributi” … termine non causale) per partecipare agli Hunger Games, un combattimento mortale trasmesso in diretta televisiva in tutto il paese.
– strategia della distrazione: secondo Chomsky questa strategia aiuta i grandi potere governativi e le lobby a indirizzare e quindi controllare la concentrazione del grande pubblico su tematiche di poca importanza distraendolo dalle rilevanti decisioni economiche e politiche prese dalle elités sociali. In Hunger Games lo scopo di questi giochi annuali trasmessi in diretta TV come un reality show è proprio quello di distrarre i cittadini di Capitol City dai disagi del resto della popolazione di Panem e al tempo stesso intimorire e soggiogare i distretti limitrofi.
– strategia del differire: un modo per far accettare un decisione drastica, impopolare e che limita le libertà individuale è quello di presentarla come “dolorosa e necessaria”, un sacrificio presente che garantisca per tutti un futuro migliore. In Hunger Games i ragazzi scelti sono esattamente un tributo doloroso ma necessario per ribadire il potere di Capitol City, potere indispensabile al mantenimento dello status quo (spacciato per pace e armonia) nel Paese.
– l’emotività: è secondo Chomsky un elemento chiave per minare il pensiero razionale e critico delle masse. Accompagnato dall’uso di un linguaggio adeguato può aprire una breccia nell’inconscio dell’individuo, una breccia tramite cui diffondere più facilmente timori e paure. In Hunger Games la selezione dei tributi tra i giovani tra i 9 e i 16 anni mira a colpire nell’emotività non solo i loro cari ma la popolazione di ciascun distretto, disseminando il timore del potere centrale.
– ignoranza e mediocrità: l’educazione delle classi inferiori deve essere la più povera possibile così da permetterne il controllo e la schiavitù. Tutti i distretti di Hunger Games vivono in situazioni disagiate di estrema povertà e ignoranza questo rendere impossibile colmare il vuoto culturale tra loro e la classe dominante residente a Capitol City.
– l’auto-colpevolezza: rafforzare nell’individuo l’idea che è lui e solo lui la causa della sua disgrazia e che la sua ignoranza e mediocrità non facilitano certo la sua ascesa sociale. L’individuo si colpevolizza, si mortifica fino a raggiungere uno stato di apatia che rende impossibile qualsiasi forma di ribellione. In Hunger Games i distretti pagano un tributo per la loro arroganza, per aver dato origine anni addietro ad una ribellione che ha minato l’intero Sistema, una punizione (ma il regime fa ben attenzione a non chiamarla così) dolorosa ma necessaria a ristabilire e mantenere l’equilibrio.
Uscendo dal pensiero di Chomsky ma rimanendo nei dintorni delle teorie della comunicazione di massa va sottolineato l’interessante uso del linguaggio -anche visivo- che troviamo in Hunger Games, con una ritualità verbale e una cura dell’estetica scelti con attenzione dalla classe dominante per ammorbidire gli aspetti più autoritari del regime: felici, fortuna, vittoria, gioco, arena, show, memoria, magnifico, valori. Al tempo stesso altri termini servono invece a incutere timore nei distretti diffondendo disagio e paura del regime: tributi, mietitura, stratega.
Un’attenzione particolare meriterebbero la simbologia e la moda, due aspetti molto importanti ed evidenti in tutta la saga. La prima conferisce un tenore epico e solenne alla narrazione, la seconda è invece il mezzo con cui il regime riesce a gratificare i cittadini di Capitol City ma che diventa in poco tempo la via di diffusione della tanto temuta scintilla di “speranza” innescata dalla protagonista.
Un filo conduttore tra Chomsky e il mondo immaginato e creato dalla Collins mi sembra quindi piuttosto evidente, si può prendere in considerazione che non sia voluto consapevolmente ma è tuttavia palese pur essendo un’opera letteraria indirizzata ad un pubblico molto giovane, apprezzata sì in tutto il mondo, persino da molti intellettuali ma anche criticata da molti altri per la sua banalità e per aver lasciato inespresso il potenziale allegorico della storia. Mancanza che almeno personalmente ho riscontrato anche nella trasposizione cinematografica.
“Amo i cani e la montagna, odio la cannella, ma per il resto sono piuttosto normale.”